CAGLIARI. Alberto Masala è fotografo, geologo, cartografo e appassionato ecologo con base a Cagliari. La sua ricerca visiva intreccia scienza e arte, tecnica e sensibilità, come dimostra la mostra Tellus (2025), promossa dalla Fondazione Bartoli Felter. Un progetto che trasforma i paesaggi agricoli della Sardegna in opere pittoriche cariche di significato, lontane dai cliché da cartolina.
Attraverso la fotografia aerea e il progetto Sardinia Land Cover, Masala invita il pubblico a esplorare la bellezza nascosta del territorio, tra geometrie naturali e interventi umani. In questa intervista ci racconta il suo percorso, il ruolo della tecnologia, l’amore per la Sardegna e la sua poetica dello sguardo.
Come si è avvicinato alla fotografia e, in particolare, alla fotografia aerea e di paesaggio?
Nel 2001, al secondo anno di università, decisi di acquistare una reflex a pellicola, era una Yashica FX3 2000 Super, che ho ancora, ero curioso di capire come funzionasse una fotocamera, per immortalare gli amici nelle uscite di surf e in genere per fare foto all’aria aperta. Ho sempre avuto la passione per “lo stare all’aperto” e così ho sviluppato curiosità e passione sia per le fotografie che per il paesaggio.
In che modo la sua formazione da geologo e cartografo ha influenzato il suo sguardo fotografico?
Tantissimo, la mia tesi di laurea dal titolo “Paesaggio geologico, geositi e geomorfositi della Media Valle del Temo” dice tutto, perché mi ha permesso di sviluppare (parliamo del 2005) tanto la pratica e la sensibilità nella fotografia di paesaggio. Il lavoro infatti necessitava di scattare fotografie e censire dei beni naturali e antropici e proporre poi una fruizione dei luoghi integrata, cercando di connettere questi siti naturali diventati spesso sede di frequentazione umana.
Quali sono stati i suoi principali riferimenti artistici o culturali nel corso della carriera?
Sono tanti, ma Cartier Bresson è quello che mi ha dato la certezza che stessi seguendo la direzione giusta, insomma che fossi nel giusto flusso. Racconto di quando nel 2004 partimmo con il caro Amico e collega di università Francesco (@fcuccuru_geotrails) e arrivati a Scanno incontrammo un falegname intento nel suo lavoro, dopo aver scattato qualche foto e scambiato alcune chiacchiere entrò dentro casa e ci mostrò una foto di Bresson, scattata lì davanti, ritraeva la madre con un cesto di verdure sulla testa. Era morto da appena un mese, questo fatto mi ha segnato.
Le sue fotografie sono spesso descritte come “grafiche” e “pittoriche”: come nasce questa cifra stilistica?
Credo che ogni buon fotografo debba possedere la sua sensibilità e soprattutto debba avere una sensibilità, non è banale e non è da tutti. Io penso di avere la mia, è fatta della materia di cui è composta la mia educazione, il mio background culturale e di vita e forse, in una certa misura anche il mio istinto.
Quali sono le sfide principali della fotografia aerea rispetto alla fotografia tradizionale?
La prima, a 15 anni circa dalla nascita dei droni, è quella di non scadere nella banalità, ormai questo strumento è così diffuso che solo un uso attento e consapevole permette di realizzare immagini d’effetto. Del resto è sempre una fotocamera che cattura una porzione di mondo…
Cosa rappresenta per lei la Sardegna e come cerca di trasmetterlo attraverso le sue immagini?
La nostra è un’isola fantastica che ho girato tantissimo, ma mai abbastanza… Credo che il miscuglio di culture la renda unica da sempre e soprattutto è unica per la sua geodiversità, no, non intendevo biodiversità. Infatti proprio grazie ai tanti e antichi tipi di litologie presenti, possiamo vantare paesaggi assai vari e conseguentemente la biodiversità presente, forte, resistente agli sbalzi stagionali. Per trasmettere ciò che ho appena espresso cerco di trasportare in immagine alcune idee o semplici ragionamenti che nascono proprio dallo stare “in giro”, come il progetto “Sardegna Colore Fuorimoda” di alcuni anni fa.
Qual è il messaggio o la sensazione che desidera trasmettere a chi osserva le sue fotografie?
La sensazione che preferisco è il temporaneo senso di straniamento per poi arrivare a capire ciò che l’immagine contiene, in senso fisico o metaforico. Per il messaggio, dipende dalle finalità del progetto.
Su cosa sta lavorando attualmente e quali sono i suoi prossimi progetti fotografici?
Intanto cerco di diffondere il più possibile questo progetto anche grazie all’aiuto dell’Università di Cagliari grazie alla quale lo stesso è nato, nel mentre ho nel cassetto due lavori a lungo termine e piuttosto complessi che spero un giorno (senza fretta) di esporre.
C’è una fotografia a cui è particolarmente legato? Può raccontarci la sua storia?
Sì, è quella che non ho potuto sviluppare. Mi viene sempre da sorridere quando penso al primo rullo scattato nella Pasquetta del 2001 a Chia, avevo preso la camera un paio di giorni prima, ho scattato qualche foto ma, non sapevo come riavvolgere il rullo prima di aprire lo sportellino, forzando la rotella strappai la pellicola e aprendo lo sportello bruciai tutto. Poco importa, sarebbero state foto di pessima qualità, ma forse dei bei ricordi…
Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere la strada della fotografia di paesaggio o aerea?
Consiglio di stare sempre con i piedi per terra.