Culture

“Maria Stuarda” con Irene Palladini e Lea Karen Gramsdorff, premiere del Cedac

CAGLIARI. Viaggio dietro le quinte e tra le righe di “Maria Stuarda” di Dacia Maraini, affascinante dramma moderno liberamente tratto dall'omonima tragedia di Friedrich Schiller, con la première venerdì 28 gennaio alle 19 sul Canale YouTube del CeDAC Sardegna della seconda puntata del “capitolo” incentrato sull'opera della scrittrice e poetessa, fiorentina, autrice di saggi e di numerose e fortunate pièces teatrali, inserito nel trittico dedicato alle drammaturghe sotto le insegne di “FiloDiffusione” - il progetto del CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna per la creazione di una “libreria virtuale” tra interpretazioni di classici e testi contemporanei nell'ambito di Legger_ezza / Promozione della Lettura 

 Un'analisi dei contenuti e del registro stilistico della pièce, vent'anni dopo la fortunata mise en scène con Elisabetta Pozzi e Mariangela D'Abbraccio, con l'introduzione e gli approfondimenti a cura di Irene Palladini (Ricercatrice di Letteratura italiana moderna e contemporanea - Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali dell'Università di Cagliari) e le letture affidate all'attrice e regista Lea Karen Gramsdorff, che interpreta le due eroine alle prese con il dilemma tra la ragion di stato e le ragioni del cuore.

Focus sul tema del “corpo” come elemento fondamentale della grammatica scenica in cui si “incarnano” attraverso l'interpretazione sentimenti, pensieri, dubbi, inquietudini e desideri dei personaggi, e sulla questione centrale nei racconti e nei romanzi, non meno che nel teatro di Dacia Maraini della condizione femminile in seno alla società nelle diverse epoche, in un confronto dialettico tra passato e presente: «Il tema che scuote, agita i personaggi nella loro quotidianità e muove le parole dismesse ma raffinatissime di Maraini» sottolinea Irene Palladini - «e fa vibrare il testo di fierezza attraverso le parole delle due donne regine – una fierezza raschiata al fondo della disperazione è il tema della libertà. Si può essere libere dalle ragioni o s-ragioni della storia e del potere con il suo tallone di ferro, si può essere libere dai dettami di una religione che pronuncia parole di sangue e di vendetta... si può essere donne e regine libere?».

«Nonostante “Maria Stuarda” fosse intitolato a una donna, nel celebre testo di Schiller le donne erano poco presenti» - sottolinea Dacia Maraini -. «Allora ho pensato di rovesciare tutta la vicenda, moltiplicando i ruoli femminili, per descrivere il rapporto tra le donne e il loro diverso atteggiamento nei confronti del potere». La pièce, in una sorta di montaggio alternato cinematografico, mostra le due protagoniste alle prese con lo scorrere degli anni e lo svanire della bellezza, occupate a risolvere questioni private e affari di stato, nell'attesa vana di lettere che non giungono mai, ma anche stranamente ossessionate l'una dall'altra, come se quell'assenza e quel silenzio reclamassero una risposta, un'attenzione e una vigilanza costante, per quell'ambiguo rapporto tra carceriere e carcerato che le rende entrambe prigioniere, mettendole in un'impasse, in una situazione senza via d'uscita.

Dacia Maraini inventa un dialogo a distanza tra due regine rese nemiche dalle leggi di successione e dall'antagonismo tra cattolici e protestanti, unite da un legame di sangue ma destinate a contendersi il trono d'Inghilterra, in un intrigante gioco di specchi: Maria Stuarda si confida con (la signora) Kennedy, la sua nutrice mentre la cugina Elisabetta (figlia di Enrico VIII) conversa con Nanny, una dama di compagnia (oltre a incontrare Letizia, vedova del conte di Lennox), entrambe messe a nudo nell'intimità della vita quotidiana, tra momenti di frivolezza, rimpianti e inquietudini. Il fascino e la complessità di due donne diversissime, la “scandalosa” sovrana di Scozia in esilio, creatura appassionata e temeraria, circondata da un'atmosfera di intrighi e delitti, imprigionata per volere della sua stessa cugina, e l'algida e enigmatica Regina Vergine, figlia di Anna Bolena, con la sua brillante intelligenza e la sua ferrea ambizione, tra (ipotetici) segreti amori e tradimenti, sullo sfondo di feroci guerre di religione e sanguinose lotte per il potere. Il trionfo di Elisabetta I d'Inghilterra – al prezzo della condanna a morte di Maria Stuarda, accusata di alto tradimento – rende ancora più evidente la solitudine della regina, nella rinuncia a ogni possibile comprensione e perdono, a ogni forma di “sorellanza” anche verso colei che, costretta ad abdicare, in fuga dai propri avversari, si era rivolta a lei in cerca di sostegno e asilo, ricevendo in cambio una amara ospitalità in castelli trasformati in carceri e la privazione della libertà (e infine della vita).

Sulla falsariga della tragedia di Schiller, Dacia Maraini immagina un incontro tra le due regine, mai avvenuto nella realtà, risolto in chiave onirica e quasi “affettuosa” con una riconciliazione (invece che con una crisi definitiva come nell'opera del drammaturgo tedesco): un sogno, probabilmente, quasi una parentesi beffarda prima dell'irrevocabile decisione che condurrà Maria sul patibolo. La scrittrice e drammaturga lascia intuire, nelle esistenze parallele delle due discendenti di Enrico VII, il vincitore della “guerra delle due rose”, una profonda affinità pur nella diversità di temperamento: entrambe costrette a sostenere il peso della corona in una civiltà di rigorosa tradizione patriarcale, quindi a cercare il consenso dell'aristocrazia e del popolo, appoggiandosi spesso almeno apparentemente a una o più figure maschili e districandosi tra le opposte fazioni e le influenze delle potenze straniere e dello Stato Pontificio, le protagoniste sarebbero potute diventare amiche e “complici” se le circostanze non le avessero trasformate in avversarie.

Il destino ha scelto altrimenti: Maria Stuarda, incoronata regina di Scozia a soli nove mesi, vedova del re di Francia Francesco II, rientrata in patria si trova a fronteggiare una situazione di grave instabilità a causa dello scontro tra cattolici e protestanti e contemporaneamente rivendica il suo diritto alla successione sul trono inglese, dopo Elisabetta, salita al potere alla morte di Maria Tudor (Maria la Sanguinaria). Il matrimonio con il cugino Enrico Stuart, Lord Darnley, da cui nasce Giacomo (futuro re di Scozia e d'Inghilterra), la prematura scomparsa del marito e lo strano “rapimento” da parte di Bothwell, che sarebbe diventato il suo terzo marito, lo scandalo e il sospetto, l'abdicazione, poi la prigionia, la fuga da Loch Leven e la sconfitta a Lanside inducono Maria Stuarda a cercare riparo in Inghilterra. Qui però la sua presenza rappresenta un pericolo per Elisabetta, la cui incoronazione non viene riconosciuta dai cattolici e di cui Maria è la più prossima erede al trono: la sovrana inglese tiene prigioniera la cugina e potenziale rivale per quasi vent'anni, mentre intorno alle due donne si tesse una fitta trama di intrighi che culmineranno con la condanna a morte dell'ex regina di Scozia e infine, paradossalmente ma non troppo, con l'ascesa al trono d'Inghilterra di suo figlio Giacomo.

“Maria Stuarda” racconta gli ultimi giorni della regina prigioniera, il suoi sogni e le sue speranze, ma anche l'amarezza e il disincanto, il rimpianto per la sua splendente giovinezza e il suo spirito infuocato e guerriero soffocati entro le mura, con la sola compagnia della nutrice, diventata il suo specchio e in qualche modo il suo conforto; e lo stesso rapporto – che rimanda agli ambigui legami de “Le Serve” di Jean Genet ma anche alle figure ancillari e alla presenza del coro nelle tragedie antiche – si replica tra Elisabetta e Nanny, in un perverso gioco di potere. In questo gineceo, dove gli uomini - mariti e amanti, padri naturali e libertini come l'ingombrante Enrico VIII e giudici spirituali come il teologo calvinista John Knox, e così aristocratici, capitani di ventura, figli infidi - vengono spesso evocati a parole, non mancano spiragli su una possibile solidarietà al femminile, tra le due sovrane, come tra loro e le varie dame o compagne di sventura, ma infine a dettar legge è l'ambizione insieme con l'autorità, e come “noblesse oblige” si impara a fare di necessità virtù. Dacia Maraini tratteggia magistralmente i caratteri delle due protagoniste, la fragilità e la forza di due figure in certo qual modo antitetiche, o meglio complementari, la cui sorte è strettamente e dolorosamente intrecciata, finché il duello a distanza tra due volontà altrettanto inflessibili e conscie della propria maestà si chiude inesorabilmente, per un (in)consapevole inganno, che è insieme catarsi, sul confine tra la vita e la morte.

Quella sacralità del potere regale che sanciva l'inviolabilità della persona della sovrana, giudicabile soltanto da una corte di suoi pari, viene infranta e contraddetta da una sentenza capitale: il tempo della prigionia termina con un ultimo rito crudele, descritto con dovizia di macabri particolari dalla stessa nutrice che ha condiviso quei lunghi anni di reclusione, quell'alternarsi di stati d'animo, fino alla rassegnazione ma non alla sottomissione. Nell'atto finale Maria Stuarda affronta la morte con altera dignità, da regina e lascia alla superstite Elisabetta l'angoscia e l'incertezza su una decisione irrevocabile: si scioglie il nodo invisibile tra i due destini, ma resta il mistero della figura di Maria, moderna eroina tragica, vittima di intrighi o complice se non artefice di un complotto per l'assassinio della sua rivale, ma comunque, in un'epoca di guerre dinastiche e conflitti religiosi, una donna di potere – come la cugina – al centro della storia.

Il percorso alla (ri)scoperta del teatro di Dacia Maraini in compagnia di Irene Palladini e Lea Karen Gramsdorff - iniziato giovedì 30 dicembre con la prima puntata, in cui fammenti del testo si alternano e intrecciano a commenti e riflessioni su contenuti e forme della rappresentazione, proseguirà con la terza puntata, registrata al Jazzino di Cagliari, prossimamente in streaming sul Canale YouTube del CeDAC Sardegna: “pillole” d'arte e cultura per affrontare con «la leggerezza della pensosità», come suggerisce Irene Palladini citando Italo Calvino, intriganti riletture di classici e testi contemporanei capaci di parlare al presente e raccontare le nuove sensibilità.