CAGLIARI. Un incubo durato nove anni. Per nove lunghi anni il ministero della Pubblica istruzione ha contestato alla famiglia di un bambino disabile cagliaritano il diritto a beneficiare di un insegnante di sostegno. Ha perso al Tar. E ha anche presentato ricorso in appello: non voleva, il ministero, pagare risarcimenti. Una follia burocratica, tanto che il Consiglio di Stato ha dovuto ribadire che "il sistema dovrebbe garantire che gli alunni e le loro famiglie non debbano proporre ricorsi giurisdizionali per ottenere ciò che è loro dovuto". Invece l'archivio recente delle sentenze romane è zeppo di ricorsi presentati dal ministero contro genitori che vogliono mandare i loro figli a scuola e pretendono che vengano seguiti. Una delle storie è emblematica.
Tutto era iniziato nel 2008, quando i genitori del piccolo, affetto da disabilità certificata dalla Asl, avevano chiesto alla scuola elementare dove il figlio era iscritto che al bambino venisse assegnato un docente di sostegno che lo seguisse personalmente. Nonostante la richiesta della famiglia fosse del tutto legittima, il dirigente dell'istituto aveva deciso di attribuire al minore un numero di ore settimanali di sostegno inferiore a quello chiesto, e previsto dalla legge (22 ore). Vedendosi negato il diritto, i genitori avevano fatto ricorso al Tar della Sardegna che aveva riconosciuto le loro ragioni e condannato la scuola al risarcimento delle spese processuali.
Neanche davanti alla sentenza del giudice amministrativo,del 2015, a sette anni di distanza dal ricorso della famiglia, il ministero della Pubblica istruzione aveva voluto riconoscere i diritti del bambino decidendo di ricorrere al Consiglio di Stato. Via dunque a un nuovo capitolo processo, che si trascina per altri due anni, fino a questi giorni, quando anche la sesta sezione del supremo organo amministrativo dà ragione ai genitori: l'Ufficio scolastico regionale - e di riflesso il dirigente scolastico, chiamato in queste circostanze a tamponare la situazione con provvedimenti provvisori - non aveva nessun diritto a ridurre il monte ore che spettava al bambino. Dando ragione alla famiglia del piccolo, nel frattempo cresciuto di nove anni, il Consiglio di Stato prende posizione su un principio fondamentale: "Il sistema - si legge nella sentenza - deve far sì che gli alunni e le loro famiglie non debbano proporre ricorsi giurisdizionali per ottenere ciò che è loro dovuto". Non è concepibile, dice in altri termini la corte, che una famiglia con un bambino disabile debba far ricorso alla giustizia per ottenere quello che le spetta di diritto. E ottenerlo dopo nove anni è ancora più grave. Anche perché il ministero la sua vittoria l'ha avuta: nonostante tutto, è il verdetto, il risarcimento non era dovuto.