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Agnese, la bidella suicida di Sestu e il filo rosso con Bibbiano

Bidella-suicida

SESTU. Compaiono anche nomi di psicologi collegati al caso Bibbiano nell'inchiesta per presunti abusi si una bimba di 4 anni che aveva portato al suicidio di Agnese Usai, bidella appena andata in pensione, che si era tolta la vita a maggio del 2018, sotto il peso di accuse pesantissime. "Sono innocente", aveva scritto su un biglietto. Qualche mese prima aveva ricevuto un avviso di conclusione delle'inchiesta per pedofilia condotta dalla Procura di Cagliari nei suoi confronti. Un'indagine scaturita da accuse partite da una bimba che aveva raccontato di essere stata toccata da lei, nelle parti intime, nel bagno della scuola materna nella quale lavorava.

Aveva detto tante altre cose, la bimba, nel corso del tempo. Alcune vicende raccontate contraddicevano altre dichiarazioni. Ma il fascicolo del pm si è riempito. Tra i protagonisti spuntano "nomi di psicologhe legate a Claudio Foti arrestato per il caso Bibbiano, al centro Hansel e Gretel e a orrori passati come il caso Sorelli di Brescia". Come? A ricostruire la vicenda, e a tracciare una linea rossa tra Sestu e Bibbiano, è Selvaggia Lucarelli: due pagine su Il fato Quotidiano che partono da lontano. Fino al tragico epilogo. 

Questo il testo dell'articolo uscito oggi su Il Fatto Quotidiano a firma di Selvaggia Lucarelli (ripreso dal posto della giornalista)

I carabinieri le bussano a casa, a Sestu, la vigilia di Natale del 2016. Agnese Usai ha 62 anni e quello è il suo primo Natale da pensionata dopo 42 anni di lavoro nelle scuole come bidella. Lei, che da giovane era stata bellissima, non si è mai sposata. Come tante donne della sua famiglia ha scelto di dedicare la sua vita al lavoro e quel lavoro nelle scuole è stato la sua vita. Mai una macchia, mai un problema. Sì, qualche discussione con i colleghi perché Agnese certe volte è un po’ scorbutica, ma è amata e rispettata. “Che ho fatto?”, domanda ai carabinieri che le chiedono di firmare. “Ah, se non lo sa lei…”, le rispondono con un velato sarcasmo.

Agnese scopre di essere ufficialmente indagata dalla procura di Cagliari per il reato di violenza sessuale. Da questo momento, quel tratto di penna che unisce in tutta Italia tante storie di accuse false, assurde o zoppicanti di minori e che riconducono con un’impressionante frequenza a Claudio Foti e ai seguaci del suo metodo, arriva anche lì, in Sardegna, e disegna un nuovo intreccio, oltre che il destino di Agnese. Un destino breve, perché la bidella si toglierà la vita due anni dopo gridando la sua innocenza.

La storia inizia nel 2014. Agnese lavora da un paio di mesi in una scuola materna frequentata da una bambina di 4 anni che chiameremo Stella. Una bambina di cui lei neppure si ricorda, quando scopre la denuncia. I genitori della piccola, entrambi non giovanissimi e profondamente religiosi, vicini all’ambiente neocatecumenale, da qualche tempo hanno notato che Stella ha dei comportamenti strani. Non vuole fare il bagno, corre nuda per la casa, ogni tanto fa brutti sogni o bagna il letto. “Fa salti troppo alti per la sua statura” e “Si arrampica sui mobili”, racconterà poi la mamma ai carabinieri. Quelle cose che nessun genitore ha mai visto fare ai propri figli, insomma. Stella cerca anche di baciare altri bambini o le mani dei genitori. Vuole lavarsi spesso la patatina, dice che la sua patatina ha bisogno di bere.

Il 10 novembre la mamma la va a prendere a scuola e la trova bagnata di pipì. Le dice che deve fare la pipì in bagno, che trattenendo lo stimolo si può ammalare. La sera, ancora agitata, la madre torna sul discorso e la bambina ammette che non va in bagno perché ha paura dei mostri. “I mostri del cartoncino di signora Agnese”, spiega. Interrogata con insistenza, afferma anche che la signora Agnese in bagno le accarezza la patatina e le lecca la faccia. Dunque la bambina si farebbe la pipì addosso per non vedere più Agnese che in effetti qualche volta accompagna i bambini in bagno e li aiuta a pulirsi. Quello che fanno i bidelli, insomma. Quell’Agnese che in effetti potrebbe averle “accarezzato la patatina”, ma magari per asciugarle la pipì. Che magari l’ha sgridata in modo un po’ brusco perchè forse Stella ha sporcato il bagno. Quell’Agnese che le lecca la faccia. Una perversione bizzarra per una bidella con 42 anni di attività senza mai un’ombra.

I due genitori, allarmati, si fanno suggerire dagli amici della parrocchia una psicologa a cui rivolgersi. La psicologa è Elisabetta Illario della Asl di Cagliari, il cui curriculum racconta un profondo e continuativo legame sia nella formazione professionale che in qualità di relatore ad incontri del Cismai e di Hansel e Gretel. Il Cismai (la cui metodologia non è riconosciuta dalla comunità scientifica) è l’associazione di cui fanno parte psicologi e assistenti sociali che sono stati al centro dei casi più contestati, da Rignano Flaminio a Massa Finalese fino ad arrivare a Bibbiano. E al Cismai è stata iscritta per un lungo periodo anche l’associazione Hansel e Gretel. La Illario è anche esperta in terapia Emdr e il suo nome è su varie locandine di incontri con Claudio Foti, Nadia Bolognini (Angeli e demoni), Federica Anghinolfi (Angeli e Demoni), Andrea Coffari (avvocato di Foti), Pietro Forno (pm del caso Lucanto), Cleopatra D’Ambrosio (caso Sorelli, Brescia) e così via.

La psicologa Illario ascolta il racconto dei genitori e afferma che i sintomi sono compatibili con un possibile abuso. Senza neanche vedere la bambina. Fa una segnalazione alla Procura. Stella non va più a scuola. Nei giorni successivi, diranno poi i genitori, a casa la bimba comincia a sfregarsi la patatina contro i mobili o a toccarsi per poi smettere improvvisamente. Tutto questo accade sempre e solo in loro presenza. Nessuno, né a scuola né altrove, la vedrà mai fare cose simili. L’indagine parte da qui, da fatti che sarebbero accaduti nell’ottobre del 2014. Fino a luglio 2015 la Procura non si muove. Intanto però la psicologa Illario “accompagna” i due genitori e la bimba nel percorso, vedendo Stella senza registrare gli incontri. La bambina, secondo genitori e psicologa, aggiungerà alcuni particolari, tra questi uno piuttosto inquietante: Stella ha raccontato alla maestra Tania le molestie di Agnese, la maestra Tania le ha detto: “La spedisco nel sistema solare” ma poi non ha fatto niente. Questa maestra non sarà mai interrogata sulla grave questione.

Stella comunque sembra riprendersi presto, dopo un mese dalla rivelazione inizia già a frequentare una nuova scuola. Tra il 2015 e il 2016 vengono interrogati (con l’obbligo di segretezza) il preside e alcune maestre. Il preside afferma che non ha mai ricevuto alcuna segnalazione sulla bidella Usai da genitori e personale. Viene interrogata la maestra Carla, che si limita a dire che Stella non ha mai manifestato segnali di disagio. L’altra maestra dice che Stella si era fatta un paio di volte la pipì addosso e che “Agnese era la collaboratrice ideale, qualche bambino si era dimostrato anche dispiaciuto del suo allontanamento”.

Agnese intanto è ignara di tutto. Non subisce perquisizioni. Non vengono messe telecamere nell’asilo. Nulla. (verrà a lungo intercettato il suo telefono solo dopo il 2016, senza alcun esito) La bambina, in seguito, affermerà che Agnese in bagno la riprendeva col cellulare e le faceva fare dei balletti, ma Agnese ha un cellulare vecchio che non fa video e non ha la linea per navigare. Il bagno è 1 metro e 50 di larghezza, difficile anche muoversi. L’incidente probatorio inizia nel 2017, due anni e mezzo dopo i fatti oggetto di denuncia riguardanti una bambina che ai tempi aveva 4 anni, dunque in piena età evolutiva. E qui subentra un personaggio interessante. La psicologa consulente di parte della famiglia di Stella, nel momento in cui inizia l’incidente probatorio, è Cleopatra D’Ambrosio, già citata perchè relatrice a vari incontri con la psicologa Illario, colei che ha raccolto la denuncia dei genitori di Stella, e che è nel direttivo di “Rompere il silenzio”, associazione del fondatore di Hansel e Gretel Claudio Foti. Ma c’è di più.

Cleopatra D’Ambrosio entrò in contatto con alcuni genitori del famoso caso Sorelli a Brescia, organizzando incontri per aiutare le mamme dell’asilo. Nel 2003 un prete, sei maestre e un bidello furono accusati di pedofilia ai danni di 23 bambini. La D’Ambrosio ai tempi fornì (a pagamento) libricini tipo “fumetti” ai genitori con indicazioni su come interrogare i bambini. Durante il processo spuntarono fuori questi libretti, l’avvocato della difesa chiese al consulente del pm Marco Lagazzi: “E’ corretto dire che consegnare questi libretti in mano ai genitori è come chiedere a un genitore “ti consegno un bisturi, fai tu l’operazione di appendicite?”. Il consulente rispose: “Questo non è un bisturi, è una sega elettrica”. Lo stesso consulente chiese quei libretti al giudice “per mostrare ai miei studenti all’Università cosa non si deve fare nell’ascolto del minore”. Il nome della D’Ambrosio nei verbali di quel processo compare 600 volte. Prete, maestre e bidello furono tutti assolti. Le accuse dei bambini erano false. Ma non finisce qui.

La D’Ambrosio è anche quella che afferma: “E’ comprovato scientificamente. Un trauma non elaborato può essere trasmesso nel DNA fino a quattordici generazioni”. In pratica un bambino potrebbe soffrire per un abuso subito da un suo trisavolo, a sentir lei. Dopo il disastro dell’asilo Sorelli, la D’Ambrosio arriva anche qui. Nella materna di Sestu. Viene chiamata addirittura da Brescia, visto il curriculum. Durante l’incontro della consulente del giudice Patrizia Cuccu con Stella per una perizia, la D’Ambrosio fa entrare nella stanza da cui lei (e solo lei, come si era stabilito) poteva assistere, anche i genitori di Stella. La bambina entra in quella stanza, trova i genitori, c’è un’accesa discussione tra il perito del giudice e la D’Ambrosio. Quest’ultima afferma “Sono stata io a farli entrare, non capisco perché non debbano essere autorizzati a guardare dal vetro” e nella confusione il papà di Stella urla: “Hanno stuprato mia figlia!”. Cosa che Stella potrebbe aver udito. L’esito della perizia è che ci sono segnali di “invischiamento", che la bambina presenta disagio e non particolari sintomi post-traumatici ma che la sua famiglia potrebbe aver diminuito la severità delle conseguenze dell’abuso. E comunque, i segnali dell’abuso sono stati rivelati dalla bambina alla psicologa Illario e ai genitori. Insomma, la psicologa crede alla psicologa.

La D’Ambrosio, nella sua consulenza, evidenzia che Stella ha un contenimento del trauma perché la psicologa Illario ha saputo ascoltare e guidare lei e i genitori. Che il trauma comunque perdura anni (non erano secoli?), che se alla consulente del giudice Stella è parsa senza particolari segni post-traumatici è perché ci vuole l’ascolto empatico da parte degli adulti. E quindi, nella consulenza, cita i suoi riferimenti nel campo dell’ascolto dei minori: Claudio Foti, Pietro Forno (pm titolare dell’inchiesta nel caso Lucanto, quella finita con la condanna in primo grado di un padre innocente ricostruita nella fiction con la Ferilli), il Cismai. 
Molte chiacchiere. Manca solo una cosa: uno straccio di prova. I genitori non hanno mai portato Stella dal ginecologo per appurare se ci sia stata deflorazione, e questo nonostante nell’agosto del 2016, quando ormai la bambina usufruisce dell’ascolto empatico della psicologa Illario da due anni, il fratellino Sandro corra dalla mamma dicendo: Stella ha provato a infilarmi un dito nel culetto! La bambina verrà interrogata sulle ragioni di tale gesto e dirà che l’ha fatto perché le andava e poi perchè si annoiava cambiando versione più volte finché col linguaggio tipico di una bambina, affermerà: “Ero gelosa di Sandro perché a lui la maestra Agnese non aveva fatto male, avevo una grande tristezza e rabbia dentro, pensavo andassero via toccando il culetto a lui ma invece sono aumentate”.

Insomma, nel 2016, dopo due anni dalla denuncia, a ridosso dell’inizio dell’incidente probatorio, le accuse diventano più gravi, la memoria della bambina anziché più flebile si fa più nitida: la maestra Agnese non la accarezzava più. Le infilava le dita nella patatina e nel culetto. Il giudice ascolta la bambina nel marzo del 2017 e l’audizione aggiunge nuovi pezzi all’assurdo puzzle di accuse. Stella dice che Agnese la toccava e la leccava ma che lei non doveva leccare Agnese come invece precedentemente affermato. Non si ricorda più che in bagno c’erano i mostri “nel cartoncino di Agnese”. Poi - e questa è l’assurdità più grossa - aggiunge: “Maestra Carla c’era sempre quando Agnese mi faceva del male. La maestra di religione, proprio quella che insegna a amare Dio, dovrebbe essere licenziata! Sbirciava dall’oblò mentre mi toccava la patatina!”.

Quindi la bambina accusa una maestra di partecipare all’abuso descrivendo porte con oblò che in quella scuola, badate bene, non esistono. Un’accusa gravissima, eppure nessuno indaga su quella maestra o la convoca per appurare se sia la verità. Infine il giudice chiede alla bimba di descrivere Agnese. Stella risponde che ha i capelli gialli e lunghi fino alle spalle. E’ clamorosamente falso. Agnese aveva i capelli cortissimi e bianchi. Non solo. In un’udienza il difensore della Usai, Walter Pani, fa notare come nel 2014, l’anno in cui la bambina denuncia il fatto (e manifesta i disagi elencati dai genitori), il fratellino subisca un’importante operazione a la famiglia debba trasferirsi per un po’ a Roma. Lo stesso anno muore il nonno di Stella. Inoltre Stella è nata prematura e i primi tre anni di vita non ha potuto frequentare il nido e altri bambini. La mamma quando lei ha due anni e mezzo deve subire una lunga ospedalizzazione. Insomma, i genitori sono certi che nel 2014 Stella sia cambiata per una bidella cattiva, anziché per una situazione familiare complessa.

Senza una prova, nonostante le tante dichiarazioni false o contraddittorie di una bambina che all’epoca dei fatti aveva 4 anni e viene interrogata due anni e mezzo dopo, senza una visita ginecologica, ma con perizie e consulenze che suggeriscono l’abuso in base a sintomi che nessuno oltre la famiglia e le psicologhe ha mai notato, il pm Gilberto Ganassi non archivia e il 2 maggio 2018 la Usai si vede notificare la chiusura delle indagini. Capisce che si va verso un processo. Efisio, il fratello di Agnese, mi racconta che lui e suo fratello avevano sempre cercato di proteggerla dall’iter giudiziario: “Ci occupavano noi delle questioni legali per tenerla fuori, eravamo sicuri che avrebbero archiviato, ci sembrava tutto così sciatto, campato in aria. Purtroppo quella notifica è arrivata nelle sue mani e lei non ha più sopportato le accuse”.

Il 6 maggio del 2018, quattro giorni dopo, Agnese si chiude in un piccolo bagno che dà su un cortile dove c’è la sua casa. Prova a far arrivare il fumo della marmitta di uno scooter tramite un tubo nel bagno ma non ci riesce. Allora usa un braciere, lo accende, lascia che l’aria si consumi e muore. Scrive “Sono innocente” in alcuni biglietti che ha in tasca. La troveranno suo fratello e suo nipote, distesa per terra. Uccisa dal fumo. Quello denso, irrespirabile, del sospetto. “In un biglietto aveva chiesto che ai suoi funerali non ci fosse nessuno a parte la famiglia. Invece era pieno di gente, tutti sapevano che era innocente”, mi dice il fratello Efisio, con un filo di voce.