IL DOSSIER. Si può fare. È possibile garantire il passaggio dei pescherecci anche durante le esercitazioni a fuoco, con conseguenti taglio degli indennizzi milionari (7,5 milioni l’anno, per l’esattezza) sborsati per il fermo e riduzione della possibilità di truffe dei finti uomini del mare. Come si può tutelare, almeno in parte, l’area Sic (sito di interesse comunitario ad alto pregio ambientale) delle dune di Porto Pino. Anche se resta sempre il dubbio sulla compatibilità fra tutela dell’ecosistema protetto e i bombardamenti. Non lo dicono (solo) gli antimilitaristi, né i membri civili del Comipa, né i “soliti” indipendentisti. Lo aveva scritto il Cnr, il Centro nazionale delle Ricerche. Peccato però che lo abbia fatto nel 2005 in un rapporto commissionato dal ministero della Difesa dal titolo “Studio per la riduzione dei vincoli permanenti nell’area marina di Capo Teulada”. Studio chiesto e dimenticato da qualche parte.
In questi giorni nel poligono del Sulcis si dovrebbe smettere di sparare. Alcune spiagge dovrebbero essere riaperte a breve. Il comitato A Foras organizza una festa contro le servitù, per il 2 giugno, con manifestazione e concerto a San Michele, a Cagliari. Quello studio, datato 11 novembre 2005, torna d’attualità: perché nessuno, ma proprio nessuno, lo ha mai sfruttato per ripartire con una trattativa? Quella tra ministero e Regione è in corso da tre anni. Non ha portato a niente. Eppure anche Roma, stando alle carte, è intenzionata a limitare i disagi per il territorio. Tanto che aveva commissionato le analisi.
Il documento porta la firma di Carlo Froglia, dell’Istituto di scienze marine del Cnr. Parte da una ricostruzione storica per capire cosa c’è su 62 chilometri quadrati di fondale del mare di Teulada, ordigni lasciati lì dall’inizio delle attività a fuoco: era il 1959. Più di mezzo secolo di bombardamenti. Si sa, c’è di tutto, soprattutto nell’area permanentemente interdetta: da proiettili d’artiglieria a missili di quattro metri (vedi la scheda riportata nel dossier).
Tanto che l’operazione di bonifica dell’area offlimits per 365 giorni l’anno “risulta tecnicamente complessa” perché anche con il monitoraggio svolto dal Cnr è stato impossibile stabilire cosa si potrebbe davvero trovare. Per il resto, Froglia era chiaro: bastava spostare il confine nord occidentale (vedi foto sotto) dell’area T811 – delimitata durante i periodi di esercitazione a fuoco contro costa, che non si dovrebbero nemmeno più svolgere – e farlo coincidere con quella della E311, delimitata nei periodi di giochi di guerra a terra. “Questa decisione”, si legge, “consentirebbe ai pescherecci di base a Porto Pino di uscire dall’approdo e di pescare in un’ampia area del golfo di Palmas anche quando sono in corso esercitazioni navali”. Sui prendeva in considerazione anche la liberazione dell’area “compresa tra punta Pirastu e l’Isola Rossa”. E ancora, se la sperimentazione fosse andata a buon fine, poteva essere “arretrato il limite nord dell’area T811e dell’area permanentemente interdetta alla pesca”, consentendo l’attività dei pescherecci. In più, ridisegnando il limite dell’area T811 “”si libererebbe dai vincoli militari una arte del Sic Promontorio, Dune e Zona umida di Porto Pino”. C’è da chiedersi: perché quello studio, voluto dalla Difesa, è rimasto in un cassetto?