ROMA. La nebbia che non c'era, i soccorsi mai arrivati e quell'ostacolo da evitare all'ultimo momento. I dubbi e le oscurità sulla tragedia del Moby Prince hanno trovato oggi una risposta, forse parziale (per il momento) ma che rimette in gioco ogni singola parola di ciò che si è sempre saputo finora. Dopo due anni di lavori, la relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dal senatore Silvio Lai, è stata presentata e per la prima volta il vero motivo dello schianto è stato reso noto: una deviazione improvvisa, effettuata dal comandante della Moby Prince, Ugo Chessa, ha poi portato allo schianto contro la petroliera.
Il perché di quella deviazione ancora non è noto: forse un'avaria o più probabilmente una bettolina, impegnata in attività illecite con la petroliera, che la Moby si è trovata improvvisamente davanti. Un ostacolo che il comandante ha provato a evitare con tutte le sue forze. Erano le 22 e 25 quando, nella rada di Livorno, entrarono in collisione il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. Persero la vita 140 persone. Persone che - secondo la relazione - non potevano essere morte dopo soli 30 minuti dallo scoppio dell'incendio. E questo è un altro dei punti chiarita dalla Commissione parlamentare.
Il comandante Chessa fece di tutto per allungare il più possibile la sopravvivenza a bordo, in attesa dei soccorsi. Soccorsi che però non arrivarono mai. L'unico superstite - chiarisce ancora la commissione - non aveva mai detto che tutti i passeggeri erano morti. Alcuni, come testimoniato dai medici legali, morirono addirittura dopo un'ora. Il traghetto fu trovato solo alle 23.45, quando ormai non c'era più nulla da fare. E poi c'è quell'accordo stretto tra compagnie e armatori ancor prima dell'inizio dell'inchiesta. Insomma, la nave fu lasciata in balìa dell'incendio: nessun tentativo di spegnere le fiamme né di entrare a bordo. Fu la più grande tragedia della marineria italiana nel dopoguerra, per troppo tempo sommersa da bugie e false testimonianze. "Ma oggi, grazie a questa promessa di impegno mantenuta - commenta il senatore della Repubblica Pietro Grasso - si può avere di nuovo fiducia nelle inchieste parlamentari e nella politica".