CAGLIARI. Centododici morti in Sardegna nei primi quindici giorni di febbraio. Una media di oltre sette vittime al giorno, con il picco registrato giovedì 10, quando i sardi uccisi dal virus sono risultati 14 in sole 24 ore. L'anno scorso il dato, nello stesso periodo, si era fermato a 90. C'erano le chiusure, non c'erano i vaccini.
Sono numeri impressionanti quelli dei decessi legati al Covid nell'Isola, regione in controtendenza rispetto alla Penisola. Dall'altra parte del Tirreno i numeri quotidiani continuano a calare. In Sardegna non solo non accenna a diminuire il numero dei nuovi positivi nei bollettini giornalieri (ormai da 10 giorni vengono rilevati anche i contagi con gli antigenici, ma la curva non scende), ma resta difficile anche la situazione negli ospedali.
Nei numeri delle strutture sanitarie però continua a registrarsi un'anomalia. A fronte di un elevato numero di vittime, che l'epidemiologo Giovanni Sotgiu spiega con una pericolosa sottovalutazione di Omicron, non corrisponde un proporzionale alleggerimento del carico delle terapie intensive.

Basta prendere i dati dell'ultimo rilevamento. Il 15 febbraio i morti registrati sono stati 10. Eppure il numero di posti letto occupati nei nei reparti ad alta intensità di cura è salito di una unità: da 30 a 31. E le tabelle ministeriali riportano l'ingresso di un solo paziente nel giro di 24 ore. Quindi, in teoria, le 10 vittime - tra loro anche un cinquantaquattrenne - non sono mai entrate in terapia intensiva.
Due ipotesi: si tratta, in tutti i casi, di pazienti con altre gravi patologie che erano ricoverati in altri reparti dove, forse, sarebbero morti lo stesso. Oppure, seguendo un'ipotesi che rispetta di più la statistica, i conti non tornano.