CAGLIARI. Tachicardia, malessere, dolori alle ossa, e la vita in genere va in tilt. Questa è la condizione attuale dei talassemici che in Sardegna oggi non ricevono sangue. Il problema risale a più di sei mesi fa, e l’ultimo grido d’allarme a un mese fa. Nulla è cambiato. E qualora ce ne fosse ancora bisogno, la presidente di Thalassa Azione Maria Antonina Sebis prova a spiegare meglio cosa si prova con una malattia del sangue molto grave se, appunto, non si riceve la trasfusione o viene rimandata: "Ci manca l’ossigeno. Come vivreste voi se vi mancasse l’ossigeno?”. E attenzione, questa volta non si rivolge un appello a chi può donare il sangue e non lo dona. I sardi sono un popolo solidale, generoso, lo dimostrano le classifiche nazionali sulle donazioni del sangue: si colloca tra i primi posti in Italia.
Quindi la materia prima a quanto pare c’è. Il problema è un altro. “Il vero appello è per le istituzioni”, dice la Sebis, “perché diano le risorse e gli strumenti a tutti gli operatori sanitari per risolvere queste problematiche”. Il fulcro del problema sarebbe il personale che manca. E il sistema trasfusionale serve, o potrebbe servire a tutti. “È il cuore pulsante di ogni attività ospedaliera, ognuno di noi può avere necessità di una terapia trasfusionale, noi ci viviamo quotidianamente da quando siamo nati ed è la nostra vita, ma anche i nostri zii, fratelli, cugini o nonni potrebbero averne necessità”. Nessuna manifestazione in piazza da parte dei talassemici. “Domani abbiamo un incontro programmato con l’azienda ospedaliera Brotzu, e abbiamo chiesto audizione anche alla commissione sanità del consiglio regionale, così non ce la facciamo più”, spiega la Sebis.