Non ci dovrebbero essere. Perché secondo i documenti ufficiali “le attività addestrative “a fuoco” effettuate nel territorio italiano, non contemplano bersagli posti nelle acque marine costiere”. Ma ci sono, a centinaia. Bombe e missili, interi e a pezzi, esplosi e no, piccoli e grandi, fino a 400 chili. Si trova tutto sul fondale del mare intorno alla penisola Delta del poligono di Capo Teulada. Terra e acque interdette, da sempre definite imbonificabili: quella è la zona sulla quale per decenni sono stati sparati ordigni di ogni tipo, anche dalle navi, contro costa.
L'esatta natura dei materiali che giacciono sott'acqua non si conosce. “L’elenco fornito dallo Stato maggiore dell'Esercito ha incluso il munizionamento di cui questo ha conoscenza. Non è quindi da considerarsi esaustivo perché mancano dettagli circa attività “a fuoco” svolte decenni addietro e perché non ogni tipo di munizione è corredato da schede che ne illustrino e descrivano i materiali utilizzati per la costruzione e utilizzo”. Parole messe nero su bianco nel report finale dell'Operazione Poseidone, svolta dall'Ispra (Istituto superiore per le ricerche ambientali) in collaborazione col ministero della Difesa e l'Arpas.
Una campagna di monitoraggio in situ svolta tra il 2017 e il 2019 della quale finora non erano mai stati resi pubblici i risultati. Un documento di oltre 140 pagine che racconta quale fosse l'obiettivo dello studio e i suoi risultati. Sono stati scandagliati i fondali del poligono di Teulada e di quello di Torre Veneri in Puglia, alla ricerca di residuati delle esercitazioni e sui pericoli per l'ambiente legati alla loro presenza. Il risultato finale? Il cimitero delle bombe analizzate al momento non sarebbe fonte di inquinamento permanente, perché non vengono rilasciate particelle nell'acqua. Ma quelle bombe, esplose e no, sono le conclusioni dell'Ispra, devono essere rimosse lo stesso. E qualcosa, zona via Torino a Cagliari, sede del comando dell'Esercito, qualcosa si sta già muovendo. Insomma: si parla di un piano di bonifica per iniziare a fare pulizia in un pezzo di Sardegna sfregiato da decenni di bombardamenti.
Nella fase preliminare del lavoro i sub, che si sono immersi fino a 40 metri, hanno individuato circa 600 “bersagli” definiti di interesse per lo studio, ridotti poi a duecento per avere un campione utile alle analisi. Sono stati prelevati campioni di sabbia intorno agli ordigni e sono stati studiati, alla ricerca di sostanze radioattive o tossiche. Sono stati inoltre pescati gronghi, murene e ricci, sia nell'area della penisola Delta che in un'altra, fuori dal Poligono, quindi non influenzata dai bombardamenti, per fare un raffronto. Non sono state rilevate differenze, anche se su tutti i campioni è stato riscontrato un eccesso di bioluminescenza, fenomeno che è stato associato alle caratteristiche dei nutrienti della zona.
Per le analisi sul materiale che compone il fondo, però, viene ammesso un limite: nel documento si legge che “i sedimenti nei quali si sarebbero potute trovare tracce di inquinanti hanno una componente fine scarsa, insufficiente a far ritenere plausibile che l’analisi di elementi in traccia possa evidenziare eventuali contaminazioni”. Inoltre, si legge ancora, “appare evidente che, esclusa la possibilità che quanto rilasciato in mare a causa di esplosioni, deflagrazioni e degli effetti di fenomeni di corrosione marina e lisciviazione possa essere rintracciato, rimangono da considerare soprattutto gli effetti sugli habitat”. Insomma: a bocce ferme – anzi, meglio, a bombe ferme – si possono studiare solo le conseguenze permanenti. E stando al report, quegli ordigni non stanno rilasciando sostanze inquinanti. Nemmeno i residui dei missili Milan, trovati anche questi, banditi nel 2000 perché contenevano torio che ne permetteva il tracciamento notturno. A Teulada ne sono stati sparati migliaia.
L'Ispra conclude così: “Benché queste presenze non possano essere ritenute “sorgenti sommerse d’inquinamento” e nella maggior parte dei casi osservati sia apparso evidente che non costituiscono un’alterazione significativa di habitat naturali, i residuati sui fondali costieri rappresentano una minaccia ambientale sufficiente a giustificare la programmazione di interventi di rimozione per prevenire possibili fenomeni inquinanti”. Insomma: il cimitero delle bombe deve sparire.
- Enrico Fresu
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