CAGLIARI. Era l'11 agosto. In una mail inviata al direttore generale dell'assessorato alla Sanità, Stefano Vella, membro del Comitato tecnico scientifico sardo, scriveva che era "inevitabile e necessario" aprire le discoteche, dando quindi il via libera all'ordinanza di Solinas. Cinque giorni dopo, il 16, l'infettivologo aveva già cambiato idea. Su Twitter, in risposta a un articolo del Corriere pubblicato da Beppe Severgnini che diceva "Le discoteche sono un rischio: ecco perché la Sardegna dovrebbe chiuderle", Vella confermava: "Chiaro che deve chiuderle. Come tutti". Ma contestava l'accanimento mediatico di quei giorni contro l'Isola: "Non si capisce il pensiero della Sardegna come il nuovo Wuhan", scriveva.
Quello stesso giorno, il 16 agosto, il ministro della Salute Roberto Speranza avrebbe firmato, in effetti, un'ordinanza sulla sospensione (in tutto il territorio nazionale) delle attività del ballo, anche di quelle all'aperto. Ma il virus, intanto, aveva già fatto il suo lavoro tra i giovani che, fino a quel momento, si erano radunati nelle discoteche dell'Isola. I primi segnali in realtà erano già arrivati: prima Carloforte, poi Porto Rotondo. Ma le preoccupazioni su quei focolai sono spuntate subito dopo Ferragosto. Esattamente quando anche il Cts sardo, prima favorevole via mail all'apertura dei locali, ha fatto dietrofront. "È chiaro che vanno chiuse", twittava Vella.