Le interviste a Gianuario Falchi e Felice Floris nel giorno della loro audizione
CAGLIARI. Gli industriali: troppo latte. Il consorzio del pecorino romano: troppo formaggio. Il secondo fatto conseguenza del primo. Sarebbero queste le ragioni del crollo del prezzo del latte in Sardegna secondo i rappresentanti di Confindustria e dell'ente che dovrebbe controllare la filiera del prodotto che costituisce il principale sbocco della mungitura nelle campagne dell'Isola. Le dichiarazioni sono state rese davanti alla commissione Agricoltura del consiglio regionale, che sta affrontando un'emergenza che rischia di riesplodere dopo la clamorosa protesta di febbraio.
Secondo i delegati di Confindustria, Pierluigi Pinna e Giuseppe Mura, si è registrato "un esubero di circa 30-40 milioni di litri di latte che deve essere gestito e programmato affinché non crei le variazioni di prezzo che danneggiano il mercato della pecorino romano dop e, quindi, tutta la filiera". Quindi hanno proposto all'organismo presieduto dal sardista Piero Maieli la necessità di "programmare la produzione del latte, destagionalizzare il periodo che oggi si concentra da dicembre a luglio, gestire gli esuberi di latte analizzando i dati che lo stesso mercato fornisce, puntare su nuovi mercati in cui vendere il latte sardo e investire anche sulla produzione di altri formaggi diversi dal pecorino romano". Pinna e Mura hanno anche assicurato che "non c’è, da parte loro, l’utilizzo di latte non sardo e che, attualmente, stanno pagando 0,74 centesimi al litro ai produttori. Un impegno che hanno sottoscritto e che stanno portando avanti, ma che li ha anche esposti a un’indagine da parte dell’Antitrust".
Davanti ai consiglieri regionali si è poi seduto anche il presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano Antonio Palitta, secondo il quale "la situazione ideale per la tenuta del comparto è la produzione di 20mila quintali al mese" mentre nel 2018 la sovrapproduzione si sarebbe attestata al 22 per cento. Da qui il crollo del prezzo, per Palitta, che ha aggiunto: “È stato però registrato nel primo bimestre del 2019 un aumento dell’export del 15% dei volumi, anche se il valore è rimasto stabile per via del mercato Usa, principale sbocca commerciale per il Pecorino romano. Questo perché l’estrema variabilità della produzione ha causato una conseguente variabilità del prezzo medio sul mercato, che risulta altamente speculativo”. Tra le principali proposte del Consorzio: la modifica del disciplinare di produzione, con la definizione della procedura per limitare alle razze ovine autoctone, presenti nei territori delimitati, la produzione di latte destinato alla Dop, e l’inserimento del Consorzio all’interno del Comitato paritetico di filiera, oltre alla ricerca di altri mercati di sbocco.