Seguici anche sul nostro canale Whatsapp
CAGLIARI. Italea, la piattaforma nazionale dedicata al turismo delle origini, ha organizzato ad Asuni (Oristano) una tre giorni che disegna il futuro del legame tra Sardegna e la sua diaspora. Riscoprire l’identità e il potenziale turistico che può derivare dal rapporto con chi ha lasciato l’Isola è il primo obiettivo di una rinascita, che guarda al mercato ma anche allo spopolamento
"Non è una statistica. È un esodo. Due milioni di sardi vivono lontani dalla loro terra, e il numero dice molto più della somma dei passaporti: racconta un vuoto", si legge nella nota ufficiale. "Il progetto Italea e nasce per dare forma a un’idea semplice e potente: il turismo delle radici. Che non è turismo, in verità. È una forma di ritorno, una geografia affettiva che percorre memorie familiari, dialetti imparati da bambini senza sapere che erano lingue, ricette fatte senza dosi, storie raccontate più volte, mai abbastanza".
Ad Asuni c’è un Museo dell’Emigrazione che raccoglie queste tracce "come si raccoglie il pane caduto: con rispetto, con cura", si legge ancora.. E proprio lì si è tenuto l’incontro “Radici in viaggio – Il futuro del turismo delle radici”. Intervenuti studiosi, rappresentanti delle istituzioni, membri della diaspora sarda. "Ma soprattutto, è intervenuta la memoria collettiva di un popolo che ha sempre saputo partire, ma non ha mai smesso di appartenere. Chi sono? Dove sono? Come possiamo farli tornare?” ha chiesto Andrea Vallebona, promotore dell’iniziativa.
"Il ministero degli Esteri c’era, con Daniele Soro, a parlare di genealogia, identità, appartenenza. Belle parole, se si traducono in diritti. La Regione Sardegna era rappresentata da Marzia Cilloccu, che ha messo sul tavolo una consapevolezza che spesso manca: chi parte non taglia le radici, le allunga. E quelle radici sono ora una risorsa", concludono."Il turismo delle origini, lo chiamano. Ma se lo si guarda bene, è molto di più. È una possibilità per ricucire lo strappo con le zone interne, con i paesi svuotati, con le madri che non hanno più figli da aspettare al portone. È una strategia, certo. Ma prima ancora è un gesto d’amore.
Non basterà farli tornare per un’estate o una sagra. Bisognerà offrire loro qualcosa di più: una visione. Un’Isola che non sia solo da visitare, ma in cui valga la pena restare. O tornare per costruire".