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CAGLIARI. Al Policlinico Duilio Casula di Monserrato sono state eseguite le prime due procedure di chiusura percutanea del forame ovale pervio (PFO), una condizione congenita che può aumentare il rischio di ictus, anche nei pazienti più giovani.
Gli interventi si sono svolti nella sala di Cardiologia Interventistica, con un lavoro di squadra che ha coinvolto cardiologi interventisti, ecografisti, infermieri, tecnici di radiologia e anestesisti.
L’equipe, guidata dal dottor Mauro Cadeddu, responsabile di Emodinamica, ha operato con il supporto della professoressa Roberta Montisci, direttrice di Cardiologia-Utic, e sotto la supervisione del professor Massimo Chessa, responsabile del centro di Cardiologia ed Emodinamica Pediatrica e del Congenito Adulto all’IRCCS Policlinico San Donato. Chessa è professore associato di Malattie dell'Apparato Cardiovascolare all’Università Vita-Salute San Raffaele, tra i maggiori esperti italiani di cardiologia strutturale. Fondamentale anche la collaborazione del reparto di Anestesia e Rianimazione, rappresentato dal dottor Gian Nicola Aru.
Il forame ovale pervio (PFO) è un'anomalia cardiaca: un passaggio che collega l'atrio destro all'atrio sinistro del cuore che serve durante la vita fetale, ma che di solito si chiude dopo la nascita. Tuttavia, in circa il 20-25% della popolazione rimane aperto, senza causare sintomi nella maggior parte dei casi.
La chiusura percutanea del PFO è oggi la strategia raccomandata per prevenire nuovi episodi nei pazienti tra i 18 e i 60 anni, interessati da ictus criptogenetico, ovvero senza causa apparente. L’intervento “gold standard” consiste nell’inserimento, attraverso una vena, di un dispositivo che chiude il forame ovale e impedisce ai coaguli di passare dall’atrio destro a quello sinistro, evitando così complicazioni gravi come gli ictus, anche in persone giovani.