Scienza e tecnologia

Le nanotecnologie molecolari salveranno il mondo dal Covid?

Spike Prtoein

 

 

In un precedente articolo di marzo, qui su YouTG,  (LINK) abbiamo affrontato il difficile tema dello sviluppo degli attesi vaccini contro il coronavirus Covid19.   E abbiamo citato, tra i tanti vaccini candidati, anche quello americano della Moderna Inc., che ha tra i suoi partners il  NIAID (Istituto nazionale americano malattie infettive) e anche la Bill & Melinda Gates Foundation.

Molte autorevoli  fonti prevedono che questo vaccino sarà probabilmente il primo ad esser messo in commercio: si trova nella fase più avanzata di sperimentazione, ovvero la fase 3 del COVE  (Coronavirus Efficacy and Safety Study).   Secondo quanto dichiarato dalla stessa Azienda, il 22 ottobre di quest’anno, il  vaccino Moderna mRNA-1273  è stato somministrato, per la seconda volta, a oltre 25mila volontari partecipanti al test.

Per capire quanto sia vasta e quanto sia avanti questa sperimentazione, basti pensare che l'analoga fase di un altro vaccino candidato e concorrente, quello progettato dall’università di Oxford e dalla  IRBM Science Park di Pomezia (che verrà commercializzato e  prodotto dal colosso  farmaceutico  AstraZeneca)  inizierà i suoi  test solo  a dicembre e  su una base di soli 300 volontari.  

Il governo USA ha imposto che la prima quota di produzione, stimabile in mezzo milione di dosi sia riservata alle forze armate.  Alcuni potranno chiedersi cosa c’entrino le forze armate o la nanotecnologia con la ricerca di un vaccino da parte di una industria farmaceutica. In realtà, da sempre negli States,,  molti scienziati lavorano su progetti “ibridi”, con scopi militari e civili, finanziati con fondi governativi e da multinazionali private. I progetti legati alla creazione di materiali su scala nanometrica o addirittura ultra-nanometrica,  proprio per il loro possibile utilizzo nel controllo e monitoraggio di truppe militari e anche nella somministrazione di farmaci attraverso dispositivi impiantabili dotati di nano-canali. Non si tratta di ipotesi futuribili, il rilascio di farmaci con un dispositivo per il controllo dei dosaggi terapeutici è ormai una prassi in molte terapie. Anche dispositivi di controllo e rilascio di tipo nanometrico esistono da tempo. In questo LINK potete vedere un esempio di una ricerca del 2007 dell’ITT (Istituto Italiano di Tecnologia) riguardante proprio un dispositivo di questo tipo.

E’ anche indubbio quanto  i forti investimenti dei governi e delle case farmaceutiche di tutto il mondo, che hanno consentito l’accelerazione della ricerca di soluzioni alla pandemia COVID, vengano anche contemporaneamente utilizzati   per avanzare ancora più velocemente nella  sperimentazione di nuovi  farmaci  nanotecnologici. Molti   recenti articoli pubblicati sul portale della nota rivista  Nature si occupano dell’argomento.  Dagli studi emerge infatti l’importantissimo ruolo giocato dalla  Glicoproteina S (“SPIKE”)”  che è una delle proteine “bersaglio” privilegiato del  virus.  Questa proteina decora la superficie del virus formando delle protuberanze caratteristiche e facendolo sembrare una corona,  aspetto da cui deriva  il nome “Coronavirus”.

La proteina S si suddivide in due parti:  la prima  serve a legarsi alla cellula bersaglio aderendo al recettore ACE2 e la seconda,  in una fase successiva consente l’ingresso del virus nella cellula.  Quindi, una molecola che fosse capace di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di prevenire l’infezione da coronavirus e, di conseguenza, la malattia.  Vista la dimensione in nanoscala delle molecole di cui stiamo parlando  è quindi  ovvio quanto la ricerca sulle nanotecnologie sia  oggi sempre più integrata nella ricerca riguardante terapie e vaccini.  In particolare contro i virus che causano patologie dell’apparato respiratorio

Ad esempio, questo studio del 2019  rileva come i vantaggi dei vaccini nanotecnologici  siano notevolmente maggiori in quest’ambito rispetto i vaccini convenzionali, basati sui patogeni vivi attenuati  o inattivati,  che vengono comunemente usati ma che, come dichiara lo studio:  “presentano un rischio di ritorno alla virulenza patogena e ​​spesso portano a una risposta immunitaria debole”.   Infatti, prosegue:  “le nuove generazioni di vaccini basati sulle nanoparticelle rivelano un grande potenziale per affrontare la maggior parte dei limiti dei vaccini convenzionali grazie ai recenti progressi nell’ingegneria chimica e biologica, che consentono la progettazione di nanoparticelle con un controllo preciso su dimensioni, forma, funzionalità e proprietà della superficie, portando a una migliore presentazione dell’antigene e a una forte immunogenicità”.

Un altro recente studio del luglio 2020, dedicato interamente allo sviluppo del vaccino COVID-19 e al potenziale balzo in avanti della ricerca dei nanomateriali  descrive anche come diverse piattaforme nanotecnologiche saranno inserite nei vaccini futuri. Tra questi vaccini viene citato come esempio proprio quello della Moderna: ”Gli approcci basati sulla nanotecnologia offrono soluzioni abilitanti per la distribuzione del vaccino nelle popolazioni cellulari e sedi subcellulari appropriate. Il vaccino mRNA di Moderna si basa su una piattaforma di nanoparticelle lipidiche, ma ci sono molte altre nanotecnologie emergenti per la consegna di vaccini con acido nucleico, come le  piattaforme nanotecnologiche che includono nano-emulsioni cationiche, liposomi, dendrimeri o particelle di polisaccaridi che vengono impiegate per migliorare la stabilità e la somministrazione di vaccini a base di mRNA “.

Tutti questi  presupposti di  rapida evoluzione della ricerca contro il Covid19  ci fanno ovviamente ben sperare.  Ma, come avviene in molti altri fronti aperti  nella guerra continua per il  progresso scientifico e tecnologico,  ci sono anche tanti altri aspetti, più o meno  noti e molto meno positivi,  che sarebbe sempre  bene  conoscere e prendere in considerazione prima di esultare.  

Uno di questi aspetti meno noti  riguarda  quanto siano legati fra loro,  da sempre ma soprattutto dalla rivoluzione industriale ad oggi,  i percorsi della ricerca scientifica  in grado di determinare innovazione. Basta mettere in lista  le migliori scoperte tecnologiche e scientifiche in ambito civile  per capire come molte di queste vedano la luce  solo dopo ingenti investimenti e analoghi  percorsi di ricerca  per scopi militari,  molto meno nobili  che spesso,  segretamente, le hanno precedute di molti  anni. 

Non bisogna  quindi stupirsi più di tanto se,  anche in questo caso,  questa regola  venisse confermata.   Ad esempio  può essere interessante constatare  come  già nel 2008  in uno studio dal titolo esplicativo:   ”Nanorobot  Hardware  Architecture for  Medical  Defense  venisse  descritto il   frutto di  una ricerca di scienziati  statunitensi,   australiani  e brasiliani,  nella quale si  analizzava  in dettaglio  il ruolo dei  dispositivi  robot nanotecnologici  per  scopi  legati alla “difesa medica” e  al  “controllo delle epidemie”.   Lo studio ipotizzava di sviluppare  una  “piattaforma integrata con relativa  architettura hardware per l’applicazione dei nanorobot nel controllo delle epidemie, in grado di  consentire la prognosi in vivo in tempo reale di un‘infezione ad alto rischio biologico”. 

E, fin dall’abstract, le implicazioni militari della ricerca vengono esplicitate  lasciando  pochi dubbi: “I recenti sviluppi nel campo della nanoelettronica, con trasduttori che si riducono progressivamente a dimensioni sempre più piccole attraverso nanotecnologie e nanotubi di carbonio, possono tradursi in innovativa strumentazione biomedica, nuove terapie e metodologie diagnostiche più efficienti. L'uso di sistemi integrati, biosensori intelligenti e nanodispositivi programmabili consente la ricerca e lo sviluppo progressivi di “macchine molecolari” in grado di fornire un monitoraggio biomedico pervasivo ad alta precisione con la trasmissione dati in tempo reale. L'uso di sistemi embedded nano-bioelettronici  viene anche dimostrato con un'applicazione pratica di nanorobotica medica e  una simulazione 3D  basata su dati clinici  in grado di integrare la comunicazione con i nanorobot utilizzando RFID, reti di telefonia  cellulare e comunicazioni satellitari, applicata alla sorveglianza a lunga distanza e al monitoraggio della salute delle truppe impegnate nelle zone di conflitto.  Pertanto, concludono gli scienziati: “il modello attuale applicato in ambiti militari, può essere utilizzato anche per prevenire e salvare una popolazione contro il diffondersi pandemico di alcune malattie epidemiche”.

In parole povere l’idea della ricerca era quindi di introdurre  macchine molecolari  nanotecnologiche  all’interno del  corpo dei soldati  per realizzare un sistema  avanzato di monitoraggio. Stiamo parlando di  una sorta di “Smart Grid molecolare” (sul genere di quelle omonime reti di monitoraggio  che cominciamo a vedere  impiegate nella domotica” civile).  Una “grid” formata da  uno sciame di  “sensori” non più grandi  di  una cellula,  introdotti e distribuiti nel corpo umano e messi in grado di comunicare,  in tempo reale,  con  un sistema  di trasmissione dati esterno,  per poter  fornire informazioni intime  sula salute delle persone ad un centro di controllo in grado di gestire tutto il sistema. 

Non è un caso che gli scienziati di questo studio e di molti altri studi simili, siano americani. Gli investimenti in nanotecnologia sono cresciuti  in modo esponenziale  negli Stati Uniti  dall’inizio del  XXI secolo.  Durante la presidenza Bush, nel 2003, è stato infatti  lanciato un importante  programma  federale di investimenti,  chiamato  NNI (National Nanotechnology Iniziative)  che coinvolge 20 dipartimenti e agenzie governative sia civili che militari .  

Giusto per  farvi  un esempio,  il programma NNI,  che è stato continuamente potenziato durante gli anni dal Congresso USA, prevede al proprio interno un apposito organismo di monitoraggio e controllo delle “implicazioni ambientali e sanitarie” chiamato NEHI (Nanotechnology Environmental and Health Implications). Come potete vedere anche dalla “Membership list”, pubblicata nel suo sito, in questo organismo siedono, oltre ai membri  civili provenienti dalle diverse agenzie federali preposte alla sicurezza pubblica, alla sanità, al lavoro, alla ricerca  scientifica, alla tutela ambientale e all’istruzione, anche i  militari nominati dal  Dipartimento della Difesa.  

Questa logica di coinvolgimento delle forze armate nella ricerca per scopi civili, seguita dagli Stati Uniti nello studio delle nanotecnologie, ma anche in molti altri  ambiti della ricerca scientifica, trova facile seguito in tanti altri paesi.  Per farsi un’idea di come si muovano tutti nella ricerca in questo ambito basta osservare l’area dedicata sul sito della Lux Research, una società indipendente di analisi  di scenari strategici di mercato, molto attiva e con sedi in America, Europa ed Estremo oriente.

La maggior parte delle ricerche in ambito nanotecnologico, in tutto il mondo, coinvolgono infatti aziende e multinazionali private, organismi governativi e forze armate.  In un groviglio inestricabile di finanziamenti, ricerche, brevetti  su scoperte scientifiche e produzione di prodotti che, anche quando nascono per scopi civili, vengono portate avanti e spesso trovano immediata applicazione per  usi militari o comunque scopi governativi riservati o coperti dal segreto di stato. Prodotti  e brevetti che poi ritornano, in forma controllata e anche depotenziata, a disposizione delle aziende che con i fondi pubblici li sviluppati, per essere immesse sul mercato civile. 
Gli analisti della LUX Research che studiano gli investimenti e la commercializzazione di nanotecnologie, stimarono che nel 2005, a livello mondiale, si sarebbero investiti  circa 10 miliardi di dollari  per ricerca e sviluppo in questo settore, con vendite delle aziende private per oltre 32 miliardi di dollari. Erano stime doppie rispetto l’anno precedente. Non solo sono state confermate ma, nell’arco del decennio successivo, gli investimenti governativi  globali in nanotecnologie  per scopi militari e civili,  sono cresciuti esponenzialmente facendo letteralmente esplodere  il mercato  azionario  di riferimento. Un mercato che  è  cresciuto ogni anno  raggiungendo,  nel 2015,   l’imponente cifra globale di  3mila miliardi di dollari.  Questo trend, dal 2015 ad oggi, non solo non  si è invertito ma, ogni anno, ha superato  il precedente  anno, con capitalizzazioni a due cifre  per le aziende e corporation del settore, costanti ogni anno. Le stime degli analisti confermano che crescite ancora maggiori avverranno  in futuro.  Anche grazie alla pandemia.

Ritornando allo studio del 2008,  più volte citato in precedenza,   che ipotizzava  l’uso di nanotecnologie per  la creazione di “smart grid molecolari “ da iniettare nel corpo dei  soldati  allo scopo di  “sorvegliare”  in tempo reale le  condizioni di salute delle truppe inviate in scenari di guerra o per monitorare gli spostamenti sul territorio e lo stato di salute della popolazione  civile  coinvolta  in scenari pandemici  è interessante notare  come  questo  studio sia stato nel tempo  altamente “referenziato” e citato in tanti  successivi studi e ricerche  simili e anche quanto, studi e ricerche di questo tipo  costituiscano sempre più  elementi  in grado  di  alimentare  diverse  “teorie del complotto”.  Teorie che prevedono scenari di controllo “Orwelliano” totale delle persone da parte dei governi.

Al riguardo, può essere interessante sentire cosa dice  un controverso scrittore e giornalista  americano come Wayne McRoy Jr. autore di un libro dal titolo “ Alchemical  Tech Revolution” .  Wayne McRoy, in questo intervento radiofonico, riferendosi espressamente all’uso di nanotecnologie  per il monitoraggio delle truppe o della popolazione di cui parlava lo studio citato,  dice:    “La ricerca scientifica per scopi militari, ancor prima che civili, ha ormai  implementato simulazioni di sistemi  architetturali con nanorobot per rilevare, attraverso il flusso sanguigno, cambiamenti biochimici rilevatori di patologie.  Le tecnologie wireless possibili nei dispositivi nanoelettronici,  possono trarre vantaggio, per la trasmissione dei dati,  dall’uso di  frequenze comprese tra 1 e 20 MHz che sono oggi utilizzate con successo per applicazioni biomedicali attraverso il corpo umano e senza alcun danno. Il loro utilizzo nell’implementazione di nanorobot applicati al controllo delle epidemie potrebbe consentire il monitoraggio della salute di ogni essere vivente in tempo reale“.   Wayne prosegue dicendo:  “è ovvio quanto sia affascinante ma anche pericoloso e difficile affidare in mano a qualcuno il governo e il controllo di  questa roba perché  costituisce the  “next level”  nel tracciamento dei contatti.

Dimentichiamoci quindi una banale  applicazione come “Immuni” da scaricare o avviare, solo se vogliamo farlo, sui nostri telefoni. Se mai  si realizzasse in futuro uno scenario di monitoraggio di questo tipo e con tali nanotecnologie, la sorveglianza e il controllo sarebbe costante e “live”, ovvero visibile da un controllore esterno mentre qualcosa si svolge dentro ogni organismo vivente, a prescindere dalla sua volontà”.

Per tutti i motivi finora esposti penso  sia  sempre necessario  mantenere alta la guardia,  però senza mai cadere preda di facili banalizzazioni e teorie complottiste. Perché non  stiamo parlando di qualcosa che arriverà in futuro. L’uso pervasivo e invasivo  delle nanotecnologie, anche per scopi civili,  è già ampiamente presente.  Le nanotecnologie sono già largamente utilizzate per la creazione di  diversi farmaci e anche in molti vaccini.  

Per approfondire e concludere, focalizzandoci su questo aspetto, è importante  leggere  questo recente studio italiano del 2017 intitolato New Quality-Control Investigations on Vaccines: Micro- and Nanocontamination che descrive in dettaglio una gamma sorprendente di particelle  nano-contaminanti presenti in un’ampia lista di vaccini attualmente in commercio, per diversi virus e patologie,  prodotti dalle maggiori aziende farmaceutiche mondiali.   Non si parla di nano-molecole biologiche naturali  ma di particelle di minerali  come  piombo, cadmio, cerio, ferro, titanio, nichel, tungsteno, oro, argento, platino, antimonio, bismuto e alluminio.  Lo studio  analizza 44 tipi di 15 vaccini tradizionali affermando  che questi contaminanti non sono mai biodegradabili o  biocompatibili  e che la loro inclusione, in quantità considerevoli   non è nemmeno dichiarata  dai produttori. Quindi, la loro presenza, appare inspiegabile.   Lo studio italiano conclude anche ipotizzando che questa contaminazione non sia intenzionale, poiché probabilmente è dovuta a componenti o procedure inquinate di processi industriali  (es. filtrazioni) utilizzate per produrre tali  vaccini.  Se tale ipotesi di contaminazione involontaria fosse vera solo uno stretto controllo delle aziende farmaceutiche o produttrici di tecnologia, dei luoghi di lavoro e dei progetti in corso, unito alla piena conoscenza dell’intera procedura di preparazione di farmaci e vaccini consentirebbe probabilmente di eliminare il problema. Ma, conoscendo  i molti retroscena che accompagnano la ricerca in tutti questi campi, dobbiamo tutti essere sempre più informati e anche prevenuti. Per vigilare costantemente su quanto accade sopra le nostre teste.