CAGLIARI. Santu Miali, Furtei. L'oro, quello che c'era, è stato portato via. Il veleno è rimasto. Il primo ha gonfiato le tasche di prenditori stranieri, australiani e non solo, che la giustizia italiana non è nemmeno riuscita a inchiodare alle loro responsabilità. Le sostanze tossiche hanno appestato acque e terre della zona. A certificare le impressionanti concentrazioni di metalli pesanti nella falda intorno a quella che fu la miniera della Sardinia Gold Mining arrivano uno studio appena concluso dall'Arpas, in collaborazione con Ispra e Università di Cagliari: l'area è stata studiata nell'ambito di un progetto di analisi delle zone minerarie: non si estrae più niente, ma tutte trasudano inquinamento.
I dati sui valori di fondo intorno alla collina sventrata di Furtei danno l'idea della devastazione. Per capirli, bisogna partire da un dato di legge: quando si studia la presenza di contaminanti bisogna avere come parametro le concentrazioni di soglia di contaminazione. Se si superano, allora sono necessarie messa in sicurezza e bonifica. Santu Miali dovrebbe essere presidiata da qualche decina di operai di Igea, che ha ereditato la gestione dopo la fuga della società. E gli ingegneri adesso dovranno fare i conti con numeri pesanti.
L'Arpas parla di presenza di alluminio nell'acqua 700 volte oltre la soglia di legge. Il manganese sfora di 2763 volte. Il ferro, metalli normale in zona mineraria, di 1369 volte. La soglia del nichel dovrebbe essere di 20 microgrammi per litro: in un punto di analisi di Santu Miali ce ne sono 522. Il limite del Cadmio è 5, lì il valore è a 79. Solo l'antmonio, nei valori di fondo, è al di sotto del tetto di pericolo. Una magra consolazione.