SASSARI. Ha rischiato di morire per il Covid. "Poi Dio ha cambiato programma: mi voleva vivo e dava tempi supplementari alla mia vita". Adesso che l'incubo è alle spalle padre Salvatore Morittu, fondatore di Mondo X, francescano, insignito dell'onorificenza al merito della Repubblica da Sergio Mattarella nel giorno delle sue dimissioni dall'ospedale, racconta la sua terribile esperienza. La diagnosi della positività, l'improvviso peggioramento, il ricovero in ospedale, il casco. Il pensiero della morte. E il lento recupero grazie a quelli che definisce "gli inviati speciali" di Dio: medici e infermieri. Che padre Morittu ringrazia.
Ecco la sua lettera aperta.
Carissimi amici degli organi di informazione, a voi affido questo mio messaggio perché possa pervenire alle tantissime persone che in questo mese hanno trepidato e pregato per me. Il 20 novembre in seguito a un ennesimo tampone fatto a me, agli operatori e a tutti giovani in recupero presso la Comunità di S’Aspru, siamo risultati tutti positivi, eccetto due operatori. La positività al Covid è sempre un evento molto preoccupante e complesso ma lo è ancor di più in una realtà comunitaria dove convivono persone già ferite dalle diverse forme di dipendenza e dal disagio.
Ci incoraggiava comunque il fatto che fossimo asintomatici e che quindi, ancor di più in isolamento in Comunità, rispettando la quarantena saremo riusciti a debellare l'infezione. Per quanto mi riguarda, data la mia età, 74 anni, sono stato subito sottoposto alla terapia prevista dal protocollo COVID, pur vivendo con normalità le mie giornate. Dopo una settimana però il saturimetro ha cominciato a segnalare il calo dell’ossigeno nel mio sangue, per cui la sera dell'1 dicembre, con l'intervento del 118 sono stato portato al Pronto Soccorso di Sassari in ambulanza. Dopo l’inevitabile attesa in un corridoio, sono stato sottoposto alla TAC e subito dopo il medico mi ha comunicato l’esito: “Padre Morittu, lei ha una polmonite da Covid”. Non mi ha detto altro, ma la lunga fila delle persone in attesa dello stesso esame dopo di me, giustificava il suo dover tornare subito al suo da fare.
Ho preso consapevolezza, lì, su una carrozzina, in un corridoio, che l’alieno stava già lavorando dentro di me e contro di me. Sono stato portato poi in una grande stanza e sistemato in un letto; mi è stato applicato il boccaglio dell’ossigeno in attesa di trovar posto in qualche reparto idoneo al caso. In quella solitudine, in quel silenzio, con la lucidità che l’ossigeno ha prodotto nel cervello, ha preso spazio nei miei pensieri non solo la possibilità, ma la certezza di morire. Ho cominciato a dialogare con Dio e non so perché non gli chiedevo di lasciarmi vivo, ma di farmi degno di entrare in Paradiso, di perdonare ogni mio peccato, e di rendere forti i miei collaboratori per continuare la nostra missione. L’arrivo di una barella e il trasferimento nel reparto di Pneumatologia col frenetico intervento dei sanitari che hanno immediatamente inserito la mia testa nel “casco” ossigenato e ventilato, ho colto un ulteriore segno della gravità della mia situazione. La venuta del cappellano, il carissimo Don Paolo, e la mia richiesta di poter ricevere l’assoluzione sacramentale, è stato, a quel punto, il suggello che chiedevo a Dio. In attesa che da un momento all’altro mi portassero in rianimazione, mi sono affidato pazientemente ai medici, agli infermieri, agli oss.
Dopo 11 infiniti giorni il casco è stato sostituito dal boccaglio, mentre i valori rientravano nella norma. Questo mi ha fatto capire che Dio, nel frattempo, aveva cambiato programma: mi voleva vivo e dava tempi supplementari alla mia vita. Anche vivere il Natale in un reparto anti Covid, con nuovi poveri e io stesso povero, malato come loro e con il personale sanitario stremato ma indefesso, è stato per me francescano come vivere il Natale di San Francesco a Greccio in un contesto aggiornato al tempo della nostra pandemia. Se riconosco che Dio mi ha salvato dalla morte, con altrettanta certezza riconosco i suoi inviati speciali: il primario professor Piero Pirina e tutti i medici, infermieri, oss del Reparto di Pneumologia e il cappellano Don Paolo Mulas.
Quanta professionalità, quanta immane fatica e quanto amore. Vi ringrazio per tutto e anche per non avermi in nessun modo privilegiato: ho visto ogni malato essere al centro della vostra missione. Grazie ai malati che con me hanno condiviso la permanenza in ospedale: ci siamo incoraggiati, aiutati, pazientemente sopportati, facendoci familiari stante la lontananza imposta ai parenti.
- Redazione
- News