DOMUSNOVAS. Le bombe non esplodono più. Lo fa la rabbia dei sindacati. Che lanciano l'allarme sui posti di lavoro tagliati dalla fabbrica Rwm di Domusnovas. Gli ordigni prodotti nella fabbrica dell'Iglesiente venivano esportati in Arabia Saudita. E da lì venivano usati nello Yemen, sui civili. Uno scandalo internazionale, seguito a inchieste giornalistiche da parte di media di tutto il mondo. Così un anno fa, il 29 luglio, è arrivato da Roma il provvedimento di sospensione delle licenze di esportazione verso i paesi in guerra. La società ha continuato con i lavori di ampliamento dello stabilimento, ma adesso arriva la comunicazione. L'azienda, con una lettera dell'amministratore delegato Fabio Sgarzi, spiega che “l'87% dell'attuale portafogli ordini, che prevedono attività produttive presso lo stabilimento di Domusnova, è non producibile”. Perché è relativo ai contratti sospesi con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Del restante 13%, nessun ordine eseguibile arriva dal ministero della Difesa.
Il risultato? Lo descrive ancora l'azienda: “Al 31 luglio 2020 avremo terminato tutte le produzioni inerenti ai contratti eseguibili in essere”, pertanto dal primo agosto “non saremo per mesi impegnati in regolari attività produttive, se non brevi e saltuarie”. Niente produzione, niente lavoro. Dal primo agosto, non sarà quindi possibile “rinnovare il contratto a circa 80 lavoratori a tempo determinato, che si vanno a sommare agli altri 110 a cui non è stato possibile dare continuità lavorativa da ottobre 2019”.
Sempre dal primo agosto partirà la cassa integrazione per circa 90 lavoratori, almeno fino a fine settembre.
Ed ecco puntuale il comunicato dei sindacati, al termine dell'assemblea dei lavoratori. Le Rsu di Cgil e Cisl ricordano che, già lo scorso luglio, avevano ipotizzato questo scenario “lanciando un appello alle forze regionali e nazionali al fine di evitare ulteriori perdite di posti di lavoro in un territorio che ha il triste record di disoccupati”. Ma, al di là delle parole, nulla.
“In questo momento c'è ben poco da gioire”, prosegue la nota, “se non per qualche associazione, anzi la preoccupazione è alle stelle dato che, in mancanza di risposte, è il preludio della chiusura della fabbrica”. Nel dichiarare lo stato di agitazione, hanno annunciato una prossima richiesta di incontro urgente al Prefetto, agli assessorati regionali Industria e Lavoro e ai Sottosegretari sardi Difesa e Mise.