BOLOGNA. Dentro la bara non c'erano solo i resti di Maria Fresu, operaia tesile di Nughedu San Nicolò morta a 24 anni con la figlia Angela, di soli tre anni, quando sarebbe dovuta partire in vacanza sul Lago di Garda. Era il 2 agosto del 1980 e stavano per salire su un treno alla stazione di Bologna quando la bomba è esplosa e le ha uccise. L'esame sui resti della donna, a quasi 40 anni dalla strage - 85 le vittime finora accertate - è stato disposto nell'ambito del processo bis che vede imputato per concorso in strage l'ex Nar Gilberto Cavallini. E il risultato apre nuovi scenari: con quello di Maria Fresu, emigrata a Firenze pochi anni prima con tutta la famiglia, c'è anche il Dna di un'altra donna. Quella che potrebbe essere l'ottantaseiesima vittima di uno degli spisodi più misteriosi della stolria d'Italia. Una donna, che era stata cercata e mai trovata tra le macerie della stazione, fino a convincere gli inquirenti dell’epoca che il suo corpo fosse stato disintegrato dalla deflagrazione.
Per la difesa degli ex Nar condannati - Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, quei brandelli di corpo rappresentano da sempre un modo per scoprire chi davvero ha messo la bomba.
Strage di Bologna, il Dna di un'altra donna nella tomba della sarda Maria Fresu
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