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"La mia battaglia contro bulli e anoressia: così mi hanno rubato l'infanzia"

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CAGLIARI. La voce spezzata, quei brutti ricordi le fanno rivivere l’incubo di ciò che ha passato quando aveva 11 anni, fino ai 13, le lacrime le rigano il viso. Per alcuni possono essere solo “semplici” battute, le stesse che però hanno portato Marta (nome di fantasia), all’anoressia. Oggi ha 18 anni, frequenta il liceo scientifico Euclide, ma quelle cicatrici sono indelebili. “Nonostante non avessi problemi mi bullizzavano per il fisico, poi hanno iniziato a prendermi in giro perché giocavo a calcio, non seguivo gli standard tipici di una ragazzina di 11 anni, e fare questo sono sempre le ragazze”. E i professori non la aiutavano. “Giravano le spalle, è la cosa peggiore”. Tutto questo fino a quando Marta è arrivata in prima superiore, in quel periodo non c’erano i bulli, ma ciò che le ha reso difficile la quotidianità è stata la malattia, l’anoressia. “Ho smesso di mangiare, sono cose che ti porti avanti e non puoi dimenticare”.

Mattia è un compagno di classe di Marta, e anche lui frequentava la sua stessa scuola alle medie, il suo problema allora, erano i capelli lunghi. Prima gli insulti, poi dalle parole si è passato ai fatti. È stato circondato, ha ricevuto spinte da parte dei suoi compagni, poi è arrivata la rissa. “Venivo chiamato frocio, femmina, non sapevo come reagire”, racconta il ragazzo che oggi ha 18 anni, “poi sono riuscito a parlarne con i miei genitori, ho cambiato classe, ma fuori da quell’aula li incontravo sempre”. Quelle violenze ancora oggi fanno parte in qualche modo della vita di Mattia. “Cerco sempre i miei difetti, mi sento sempre diverso, ancora oggi continuo a vedere quei ragazzi perché sono del mio paese, non mi sento tranquillo”.

Le due testimonianze sono emerse a margine della presentazione del libro di Salvatore Bandinu “La scuola debullizzata” al liceo scientifico Euclide. Il consiglio, da parte sia di Mattia, sia di Marta, è quello di “parlarne con gli adulti, con i genitori, con le persone più grandi”. “È difficile capire quanto è diffuso il fenomeno”, ha detto il pm Paolo De Angelis, “c’è molta omertà, meglio non tracciare un identikit, chiunque di noi può diventare contemporaneamente una vittima o un carnefice”.